LAVORO
Licenziamento per fatti commessi fuori dal rapporto di lavoro
Il lavoratore può altresì essere licenziato quando, nell’ambito del rapporto di lavoro, si comporta in modo tale da risultare incompatibile con la prosecuzione di tale rapporto. Tali comportamenti possono consistere, ad esempio, in una grave disubbidienza nei confronti dei propri superiori gerarchici piuttosto che nella sottrazione di beni aziendali. In queste ipotesi si parla di giusta causa di licenziamento. E' tuttavia prevista, dal nostro ordinamento, anche l’ipotesi del licenziamento per "giustificato motivo soggettivo" che ricorre laddove i comportamenti del lavoratore, pur non realizzandosi nell’ambito dell’attività lavorativa, risultino comunque tali da compromettere il rapporto di fiducia che sta alla base di ogni rapporto di lavoro. Per esempio, se il cassiere di un grande magazzino sottrae del denaro all'azienda per la quale lavora, ci si troverà in presenza di una giusta causa di licenziamento. Se, invece, lo stesso cassiere dovesse essere sorpreso a rubare presso altra struttura, al di fuori del proprio orario di lavoro, non potrebbe essere licenziato non ricorrendo alcuna giusta causa.br>Lo stesso, infatti, non avrebbe violato alcun obbligo relativo al proprio rapporto di lavoro. Tuttavia l'azienda potrebbe non fidarsi più di una persona che, per le sue caratteristiche soggettive, risulterebbe non più idonea a svolgere il ruolo di responsabilità affidatale. In sostanza, è vero che anche comportamenti esterni all’attività lavorativa possono avere un riflesso sul rapporto di lavoro; ciò, peraltro, solo nel caso in cui, per la gravità degli stessi e per il ruolo affidato al lavoratore, sia oggettivamente possibile dedurre, da tali comportamenti, il venir meno, in modo irreversibile, del rapporto di fiducia. In conclusione, per tornare all’esempio precedente, se colui che è stato sorpreso a rubare svolgesse, invece che il ruolo di cassiere, mansioni che non lo pongono in contatto con denaro od altri beni aziendali, risulterebbe arduo sostenere che un fatto commesso al di fuori dell’attività lavorativa, magari per la prima volta, possa costituire una ragione sufficiente per privare una persona della propria occupazione ovvero, di norma, della propria unica fonte di sostentamento.
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